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Sport e atleti di fronte alla guerra, tra libertà e schieramenti

Pubblichiamo la riflessione di Raffaella Chiodo Karpinsky, rappresentante Uisp nella Rete FARE, sul ruolo dello sport tra propaganda e pacifismo

 

In questi giorni la repressione di chi, in Russia, si oppone a questa atroce guerra, mi riporta ai rapporti con le associazioni, i gruppi e le persone che conosco. Con alcuni di questi durante i Mondiali di Calcio svoltisi in Russia nel 2018 abbiamo realizzato incontri, iniziative partite contro il razzismo, contro le discriminazioni di genere, a favore dell''inclusione dei rifugiati o i diritti LGBT. Creammo allora le "Diversity house" (Casa delle diversità) a Mosca e Pietroburgo e diverse altre iniziative in altre città russe che ospitavano le partite del Mondiale. Voci libere su temi ostici che nel quadro politico del paese subivano già allora diverse forme di repressione e isolamento. Oggi alcuni di loro sono sprofondati nel buio. La logica della guerra colpisce anche tanti di quei contenuti, principi del diritto, diritti umani e di libera espressione in generale, di cui associazioni e gruppi sono stati portatori.

Lo sport è attraversato dall'ondata di isteria della guerra. Ci sono state manifestazioni in cui alcuni atleti, campioni olimpici in varie discipline, sono stati coinvolti. E' accaduto in vario modo. Alcuni atleti, adulti, in modo consapevole sono stati invitati o costretti a esprimere pubblicamente il loro supporto all'esercito che combatte in Ucraina, ad apporre la Z (simbolo della guerra che Putin fa chiamare "operazione speciale") sul petto. Dico costretti, perché nel contesto attuale, in Russia anche un tentennamento verrebbe interpretato come forma di tradimento della patria, e automaticamente porterebbe alla loro esclusione dalle squadre di appartenenza e dai relativi sostegni finanziar e stipendi. Molti, come accade anche in Italia, sono inquadrati nei corpi militari e di polizia. Questo produce effetti molto concreti sulle possibilità di scelta, che non può essere "libera".

Certamente chi ha più coraggio e trova tutto quello che sta accadendo inaccettabile deve trovare il modo per opporsi, sapendo che le conseguenze saranno pesantissime e non solo per loro. Le conseguenze delle loro scelte, come per chi altro si sia espresso contro la guerra, si ripercuoteranno anche sui loro cari. Tutto questo al di là della propaganda di Putin e della censura sulle informazioni che arrivano su quanto di mostruoso e disumano sta accadendo in Ucraina. Perfino gli atleti più giovani, incluse le ginnaste di 16 anni, campionesse olimpiche, vengono trascinati in una ripugnante gara di sostegno alle proprie forze militari che stanno perpetrando l'aggressione, bombardando le città, uccidendo i civili, costringendo alla fuga milioni di persone innocenti. Di tutto quanto noi sappiamo e vediamo nei media a loro, salvo alcune eccezioni, giunge solo la versione del regime che dipinge questa "operazione speciale" come una difesa dall'aggressione del mondo contro la Russia e il suo popolo. Una visione raggelante di cui solo chi ha accesso tramite VPN, riesce a ricevere informazioni via whatsapp o segue account indipendenti su Telegram può vedere la versione reale e brutale. Nonostante la forza della propaganda di regime che dipinge ogni immagine di distruzione come frutto di fake news o addirittura scarica la responsabilità sulle forze ucraine, non sono pochi quelli che posso farsi un'idea veritiera della situazione. Detto questo sono tantissimi in Russia i cittadini che hanno parenti e amici in Ucraina, e ricevono  direttamente notizie dal teatro di guerra.

Coloro che finora hanno espresso il proprio no alla guerra e all'aggressione all'Ucraina sono gli sportivi che hanno più "autonomia", soprattutto economica. I tennisti, in primo luogo, tra cui è diventato famoso in diretta mondiale il #NO alla guerra di Andrey Rublev. Tra gli atleti che sono stati ripresi allo stadio durante la terribile manifestazione organizzata allo stadio di Mosca dal regime di Putin per celebrare la riunificazione con la Crimea e sostenere la guerra, c'erano le  ultrapopolari gemelle Averina, pluri campionesse del mondo di ginnastica ritmica. Insieme a loro anche due ginnaste di 16 anni campionesse olimpiche di ginnastica artistica. Nei loro account hanno condiviso che gli era stato chiesto di portare le medaglie olimpiche, che infatti portavano al collo. Veramente triste e criminale coinvolgere minorenni in una manifestazione a sostegno della guerra. Si è sollevata una grande indignazione internazionale per questa loro partecipazione, così come per l'episodio del ginnasta russo, anche lui sedicenne, che in occasione della premiazione mentre si trovava a fianco al ginnasta ucraino ha esibito sul petto la Z al posto del simbolo della Russia (bandito nell'ultima gara internazionale a cui sono stati ammessi atleti russi).

La campionessa olimpica di ginnastica ritmica Lenoy Ashram, israeliana, ha commentato la partecipazione delle ginnaste russe all'evento pro-guerra dicendo "anche io avrei supportato il mio paese in una situazione simile". Lo sport in questa fase sta giocando un ruolo triste di richiamo a schieramenti che soffiano sul fuoco invece di parlare la sua potente voce universale. Dovrebbe essere un ambito capace di andare oltre le barriere e contro ogni brutalità, ogni guerra e prima di tutto oggi denunciarne l'orrore. Come accennato prima, viene spontanea una riflessione su come nello sport d'élite (non il calcio o altre discipline professionistiche che vivono di autonomi livelli di finanziamento) per assicurare il necessario sostegno economico agli atleti, li inquadrino in corpi militari. Una contraddizione in termini su cui varrebbe la pena di riflettere in tempi di pace...anzi di guerra. 

Altra cosa è lo sport di base, e il suo straordinario e concreto potenziale diplomatico che, come sappiamo bene, può svolgere dal basso un ruolo costruttivo. In Libano, nella Ex Jugoslavia e in tante altre parti del mondo abbiamo dimostrato come in contesti di conflitto si può costruire un dialogo tra le persone anche nei momenti più difficili, anche lì dove la diplomazia formale fallisce. Questo accade perché lo sport, se vuole, ha il potere di cambiare il mondo come diceva Nelson Mandela. I corpi parlano nella loro libera e plastica espressione quando hanno il coraggio e sanno creare gli spazi di libertà. Davanti a noi abbiamo un futuro difficile e anche se la guerra finisse domani, ci saranno macerie fisiche e umane di dimensioni che neanche riusciamo a immaginare. Sono figlia di genitori che si sono conosciuti da volontari nella ricostruzione delle città distrutte dalla guerra. Giovani che allora seppero credere nell'utopia della pace e dell'Europa come spazio di vita e futuro di pace. Oggi siamo nell'emergenza e dobbiamo prima di tutto pensare a soccorrere le vittime dell'aggressione dell'esercito russo, portando aiuti, accogliendo e dando riparo fisico e umano ai profughi. Anche lo sport può fare la propria parte e la sta facendo. Poi, spero al più presto, verrà il tempo di ricostruire e allora dovremo essere capaci di aiutare il popolo ucraino nella ricostruzione delle proprie case e della propria vita. Lo sport di base potrà esercitare un ruolo utile per la ricostruzione psicofisica e sociale di cui ci sarà un immenso bisogno. (Raffaella Chiodo Karpinsky)